Wrestlemania passa agli archivi. Un’edizione particolare per tutto quello che è venuto prima e tutto quello che non ne verrà dopo, che ci ha lasciato negli occhi e nel cuore pochi istanti magici e tante, tante cose già viste. Tuttavia, tra i pochi istanti ereditati, vi è senza dubbio quello spettacolare showcase di storytelling che è stato Punk Vs Taker ed un cruento ma lentuccio Triple H Vs Brock Lesnar. Proprio di questi due piccoli capolavori parleremo in questo editoriale!
Partiamo dal No Holds Barred tra Triple H e Brock Lesnar. Il match è stato cruento, dal grande pathos ed abbastanza intenso…tuttavia, a tratti abbastanza lento e con un verdetto finale sicuramente rivedibile per quanto riguarda il booking a lungo termine della WWE. Il Triplo, infatti, in un solo match si è concesso la sua consueta entrata truzza (ma pur sempre gradita) dalla bocca di un mostro uscito direttamente dalla copertina di un CD degli Iron Maiden, un minutaggio da gran signore ed una vittoria con annessa rivincita contro quello che, teoricamente, dovrebbe essere l’invincibile mostro della WWE per violenza ed intensità. Tutti i piani riguardanti un turn di HBK, una Sweet Chin Music assestata per sbaglio o giù di li sono stati totalmente accantonati, indebolendo ulteriormente un Jobber pagato milioni di dollari e rafforzando ancora una volta un ex lottatore che non ha mai avuto bisogno di essere nuovamente rafforzato. Ma d’altronde HHH si è concesso questo ed altro nel passato, dunque perché stupirsi?
La cosa più shockante ed economicamente assurda, ovviamente, è la gestione di Lesnar. Domina, uccide, distribuisce più F5 lui che doni Babbo Natale, spezza braccia, prende i gradoni e li butta sul ring (gesto che, scaramanticamente, gli consiglierei di evitare d’ora in poi) ed alla fine…perde in PPV. Due sconfitte su tre presenze, e se mentre nella prima ci poteva essere il vago sentore di una vendetta da parte della WWE su chi l’ha tradita, o una teorica superiorità del Wrestling sulle MMA dal punto di vista mark (altrimenti non avrebbe senso rivangare ogni due minuti il fatto che Lesnar è stato UFC Champion in un passato recente) in quest’altra sconfitta, che di fatto vanifica anche la precedente vittoria, non vedo logica ma solo un capriccio. Tenersi Brock così, a regalare job e perdere pian piano quella capacità insita nel suo personaggio violento ma vincente di essere un efficace macchina da soldi è un po’ come avere Belen Rodriguez come fidanzata e vietarle di farsi la ceretta. E’ pur sempre Belen, eh, ma se punge non è più la stessa cosa.
Il match in se, invece, è stato diviso nettamente in due parti. La prima, molto intensa, ha visto comprensibilmente Triple H impegnato a vendere l’offensiva di Brock, composta perlopiù da una miriade di belly to belly suplex, ed un tentativo di storytelling leggermente abortito, in quanto resto dell’idea che Hunter sia un baby face molto poco efficace, in quanto ricco, stronzo, cattivo, opportunista ed in una posizione di potere. Questa frizione, unita all’inevitabile lentezza di Brock, ha un po’ impantanato le reazioni della folla, che però si è svegliata in modo assolutamente prepotente nelle fasi finali. Questo match, tra i tre principali, era in effetti l’unico incerto, e questa incertezza, unita all’interventi di Michaels livellato da una F5 e da un Triple H mai domo che ad ogni spinebuster sui gradoni risponde con una nuova kimura è riuscita a creare tanto pathos finale, dove forse non ha trionfato l’uomo giusto ma di sicuro ha vinto lo spettacolo. Un match da sette pieno, che sarebbe stata l’unica cosa veramente bella della serata se non fosse stato per Guernica, il capolavoro di due veri artisti.
Perché CM Punk ed Undertaker hanno spiegato a tutti noi fan smart, mark, addetti ai lavori, wrestlers o presunti tali cosa serve per poter fare un match a cinque stelle. Senza piledriver dal paletto, senza 450° splash, senz’armi, senza wrestler giovani ed agili, senza gabbie o ambulanze. Questo match, così come ogni anno da cinque anni a questa parte per il Becchino, è stata la quintessenza dello STORYTELLING, la vera ragione per cui è bello e dovrebbe essere speciale assistere ad un match di Wrestlemania, la vera e sostanziale differenza tra quello che dovrebbe essere un comune match televisivo ed un qualcosa che, invece, dovrei pagare per vedere (PPV). Differenza assolutamente ignorata in questa edizione di Wrestlemania, in cui a parte i tre soliti noti tutti gli altri incontri non avrebbero sfigurato nel midcard di Raw o nel main event di Smackdown, nella migliore delle ipotesi. E non sto assolutamente esagerando.
Tornando ottimisti, il match partiva con due enormi handicap: scontatezza per il risultato, dovuta non tanto alla streak in se, ma alla costruzione davvero povera della faida, ed aspettative stellari per il match di Undertaker, considerati i precedenti quattro incontri disputati dal becchino allo Showcase Of Immortals. Invece l’incontro inizia sotto un’ottima luce, partendo già dalla suggestiva entrata di Undertaker, che viene vomitato dall’abisso nonostante le anime dannate delle sue vittime cerchino di trattenerlo, in uno scenario simile in tutto e per tutto all’Inferno Dantesco (oppure alla casa di Death Mask del Cancro, come preferite). Che siano anime o Zombie (l’occhiolino a The Walking Dead è stato strizzato in modo abbastanza voluto a mio avviso) la sua entrata in uno stadio con 80mila persone è un colpo d’occhio meraviglioso, e quando il match comincia sale in cattedra CM Punk, un heel così vecchia scuola da essere a dir poco irresistibile. E quando lo stesso Punk ruba proprio la Old School dal suo nemico, sbeffeggiandolo, capiamo tutti che stiamo assistendo ad una storia raccontata da due narratori senza eguali al giorno d’oggi, come testimoniano anche i primissimi piani sui protagonisti e sulle loro mimiche facciali, che tanto hanno aggiunto alla credibilità di questo match. Contrariamente a quanto fatto nel main event dello show, in cui ogni volta che l’inquadratura stringeva sui volti di Rock e Cena i due stavano palesemente parlando per chiamare le mosse…evitabile, davvero evitabile.
Tornando a noi, da incorniciare assolutamente la sequenza finale, gli scambi di MMA tra i due (entrambi grandissimi fan), la combinazione GTS – rimbalzo sulle corde – Piledriver, la dedica finale all’amico Paul Bearer e soprattutto il momento in cui Undertaker si rialza con il volto assatanato durante l’Anaconda Vice applicata da Punk, che reagisce con palese terrore e spavento…un momento epico, che non dimenticherò mai, parte di tanti piccoli dettagli che hanno reso questo mainevent (l’unico, vero motivo per non perdere questa Wrestlemania) un vero e proprio capolavoro, candidato a match dell’anno a mani bassissime. Unico neo, che occorre menzionare per dovere di cronaca, è stata l’assoluta certezza del risultato: nessuno credeva che Punk avrebbe potuto vincere questo match, a causa della scarsa costruzione nessun momento d’incertezza è stato creato, neanche dopo il colpo assestato con l’urna…ma nonostante questa scontatezza, la storia raccontata è stata assolutamente eccellente.
Merito di Punk, sicuramente, del suo eccelso manierismo e della sua noncuranza nel prendersi un bump che avrebbe mandato K.O., o almeno indebolito inficiando la qualità complessiva del match, tantissime persone. Merito anche e soprattutto di Undertaker, in condizioni fisiche assolutamente migliori rispetto all’anno scorso (visibilmente in sovrappeso) e capace di sfruttare la streak nel suo storytelling come un cecchino saprebbe sfruttare il vento. La vera streak, signori, è proprio il livello qualitativo dei suoi incontri a Wrestlemania…fare un match all’anno, e renderlo automaticamente candidato a match dell’anno non è cosa da tutti. Questo incontro, a mio avviso, è superiore persino al secondo match tra Taker ed HBK ed a tutti e due gli incontri disputati con Hunter (ottimi anch’essi), staccato di misura solo dal primo incontro tra il Becchino e Michaels, a mio avviso inarrivabile.
La vera Streak di Undertaker continua, ossia l’eccellenza. Chapeau!
La cosa più shockante ed economicamente assurda, ovviamente, è la gestione di Lesnar. Domina, uccide, distribuisce più F5 lui che doni Babbo Natale, spezza braccia, prende i gradoni e li butta sul ring (gesto che, scaramanticamente, gli consiglierei di evitare d’ora in poi) ed alla fine…perde in PPV. Due sconfitte su tre presenze, e se mentre nella prima ci poteva essere il vago sentore di una vendetta da parte della WWE su chi l’ha tradita, o una teorica superiorità del Wrestling sulle MMA dal punto di vista mark (altrimenti non avrebbe senso rivangare ogni due minuti il fatto che Lesnar è stato UFC Champion in un passato recente) in quest’altra sconfitta, che di fatto vanifica anche la precedente vittoria, non vedo logica ma solo un capriccio. Tenersi Brock così, a regalare job e perdere pian piano quella capacità insita nel suo personaggio violento ma vincente di essere un efficace macchina da soldi è un po’ come avere Belen Rodriguez come fidanzata e vietarle di farsi la ceretta. E’ pur sempre Belen, eh, ma se punge non è più la stessa cosa.
Il match in se, invece, è stato diviso nettamente in due parti. La prima, molto intensa, ha visto comprensibilmente Triple H impegnato a vendere l’offensiva di Brock, composta perlopiù da una miriade di belly to belly suplex, ed un tentativo di storytelling leggermente abortito, in quanto resto dell’idea che Hunter sia un baby face molto poco efficace, in quanto ricco, stronzo, cattivo, opportunista ed in una posizione di potere. Questa frizione, unita all’inevitabile lentezza di Brock, ha un po’ impantanato le reazioni della folla, che però si è svegliata in modo assolutamente prepotente nelle fasi finali. Questo match, tra i tre principali, era in effetti l’unico incerto, e questa incertezza, unita all’interventi di Michaels livellato da una F5 e da un Triple H mai domo che ad ogni spinebuster sui gradoni risponde con una nuova kimura è riuscita a creare tanto pathos finale, dove forse non ha trionfato l’uomo giusto ma di sicuro ha vinto lo spettacolo. Un match da sette pieno, che sarebbe stata l’unica cosa veramente bella della serata se non fosse stato per Guernica, il capolavoro di due veri artisti.
Perché CM Punk ed Undertaker hanno spiegato a tutti noi fan smart, mark, addetti ai lavori, wrestlers o presunti tali cosa serve per poter fare un match a cinque stelle. Senza piledriver dal paletto, senza 450° splash, senz’armi, senza wrestler giovani ed agili, senza gabbie o ambulanze. Questo match, così come ogni anno da cinque anni a questa parte per il Becchino, è stata la quintessenza dello STORYTELLING, la vera ragione per cui è bello e dovrebbe essere speciale assistere ad un match di Wrestlemania, la vera e sostanziale differenza tra quello che dovrebbe essere un comune match televisivo ed un qualcosa che, invece, dovrei pagare per vedere (PPV). Differenza assolutamente ignorata in questa edizione di Wrestlemania, in cui a parte i tre soliti noti tutti gli altri incontri non avrebbero sfigurato nel midcard di Raw o nel main event di Smackdown, nella migliore delle ipotesi. E non sto assolutamente esagerando.
Tornando ottimisti, il match partiva con due enormi handicap: scontatezza per il risultato, dovuta non tanto alla streak in se, ma alla costruzione davvero povera della faida, ed aspettative stellari per il match di Undertaker, considerati i precedenti quattro incontri disputati dal becchino allo Showcase Of Immortals. Invece l’incontro inizia sotto un’ottima luce, partendo già dalla suggestiva entrata di Undertaker, che viene vomitato dall’abisso nonostante le anime dannate delle sue vittime cerchino di trattenerlo, in uno scenario simile in tutto e per tutto all’Inferno Dantesco (oppure alla casa di Death Mask del Cancro, come preferite). Che siano anime o Zombie (l’occhiolino a The Walking Dead è stato strizzato in modo abbastanza voluto a mio avviso) la sua entrata in uno stadio con 80mila persone è un colpo d’occhio meraviglioso, e quando il match comincia sale in cattedra CM Punk, un heel così vecchia scuola da essere a dir poco irresistibile. E quando lo stesso Punk ruba proprio la Old School dal suo nemico, sbeffeggiandolo, capiamo tutti che stiamo assistendo ad una storia raccontata da due narratori senza eguali al giorno d’oggi, come testimoniano anche i primissimi piani sui protagonisti e sulle loro mimiche facciali, che tanto hanno aggiunto alla credibilità di questo match. Contrariamente a quanto fatto nel main event dello show, in cui ogni volta che l’inquadratura stringeva sui volti di Rock e Cena i due stavano palesemente parlando per chiamare le mosse…evitabile, davvero evitabile.
Tornando a noi, da incorniciare assolutamente la sequenza finale, gli scambi di MMA tra i due (entrambi grandissimi fan), la combinazione GTS – rimbalzo sulle corde – Piledriver, la dedica finale all’amico Paul Bearer e soprattutto il momento in cui Undertaker si rialza con il volto assatanato durante l’Anaconda Vice applicata da Punk, che reagisce con palese terrore e spavento…un momento epico, che non dimenticherò mai, parte di tanti piccoli dettagli che hanno reso questo mainevent (l’unico, vero motivo per non perdere questa Wrestlemania) un vero e proprio capolavoro, candidato a match dell’anno a mani bassissime. Unico neo, che occorre menzionare per dovere di cronaca, è stata l’assoluta certezza del risultato: nessuno credeva che Punk avrebbe potuto vincere questo match, a causa della scarsa costruzione nessun momento d’incertezza è stato creato, neanche dopo il colpo assestato con l’urna…ma nonostante questa scontatezza, la storia raccontata è stata assolutamente eccellente.
Merito di Punk, sicuramente, del suo eccelso manierismo e della sua noncuranza nel prendersi un bump che avrebbe mandato K.O., o almeno indebolito inficiando la qualità complessiva del match, tantissime persone. Merito anche e soprattutto di Undertaker, in condizioni fisiche assolutamente migliori rispetto all’anno scorso (visibilmente in sovrappeso) e capace di sfruttare la streak nel suo storytelling come un cecchino saprebbe sfruttare il vento. La vera streak, signori, è proprio il livello qualitativo dei suoi incontri a Wrestlemania…fare un match all’anno, e renderlo automaticamente candidato a match dell’anno non è cosa da tutti. Questo incontro, a mio avviso, è superiore persino al secondo match tra Taker ed HBK ed a tutti e due gli incontri disputati con Hunter (ottimi anch’essi), staccato di misura solo dal primo incontro tra il Becchino e Michaels, a mio avviso inarrivabile.
La vera Streak di Undertaker continua, ossia l’eccellenza. Chapeau!
FONTE:ZONAWRESTLING.NET